Omelia di Sua Ecc. Mons. Carlo Mazza
Beato Carlo d’ Asburgo (1887-1922)
Si presenta davvero felice la ricorrenza del 97° anniversario
della morte prematura di Carlo I° d’
Asburgo (1 aprile 1922) che porta
in primo piano la particolare memoria di un imperatore proclamato “Beato”
dalla Chiesa cattolica (2004) sotto il pontificato di un papa slavo, San Giovanni
Paolo II.
Alla luce del mistero
di questa celebrazione liturgica, nella quale si attua di nuovo il sacrificio
pasquale di Gesù per la salvezza del
mondo in virtù del quale, per ogni uomo e per ogni evento della storia, si
rivela esattamente la consistenza del proprio destino definitivo, il ricordo
nella fede del Beato Carlo ritrova la sua migliore collocazione.
E’ appunto nella visione di fede che vediamo il Beato Carlo assunto
nella gloria di Dio e nella festosa assemblea degli eletti, al canto degli
angeli e dei santi. A partire da lì, la Chiesa l’ha posto a modello per tutti i cristiani e in
particolare per i governanti, anche non coronati da insegne regali, riconoscendo
le virtù eroiche esercitate nella sua vita privata, famigliare e pubblica di
governo.
Dunque la sua persona, trasfigurata dalla luce di Dio, diviene
devotamente imitabile e di potente
intercessione, perché il Beato Carlo da umanamente regale è divenuto servo del
Signore, da principe del mondo è divenuto
umile discepolo del vangelo della carità politica, da sconfitto ed esule
è divenuto vincitore e cittadino del mondo.
In realtà la figura dell’ imperatore Carlo, vissuto nel
drammatico travaglio che ha segnato il passaggio e la trasformazione dei regimi
politici in Europa, è stata sottoposta a prove
gigantesche, pure nella sua giovane età di non ancora trentenne, sia sotto
il profilo politico che umano e spirituale, tanto da dare conto delle sue
qualità di uomo di governo e di uomo di
Dio attraverso il fulgore della santità.
Nel complesso panorama della fine dell’ ‘800 e degli inizi
del ‘900, caratterizzato da insorgenti e diffusi movimenti nazionalistici ed
eversivi, culminanti nel criminale attentato all’arciduca erede al trono Francesco Ferdinando a Sarajevo (28
giugno 1914) e nelle sferzanti manovre di opposizione ideologica di stampo
massonico, Carlo I°, nel suo brevissimo regno, cercò con ogni mezzo di destreggiarsi secondo criteri di governo
ispirati da fine intelligenza politica e da mite e ammirevole rettitudine
morale.
Dovendo far fronte a
contrapposte e ostili operazioni diplomatiche e da urgenti strategie di guerra,
in particolare dopo il repentino e proditorio voltafaccia del Regno d’Italia che stabilì il passaggio dalla Triplice Alleanza al fianco delle
potenze dell’Intesa, in un tempo di già
deflagrata belligeranza nelle zone orientali, e in procinto di esplodere sul
fronte italiano, Carlo si trovò giovanissimo a capo del suo popolo e dell’Esercito
imperiale impegnato in diverse postazioni di guerra.
Non v’è dubbio che la sua vicenda politica e umana, e la
stessa sua santità, si devono iscrivere dunque in un quadro di alleanze politico-militari con complicatissime discriminanti sia di ordine strategico
che ideologico, presenti nelle diverse cancellerie del Continente, nei diversi
e potenti circoli economico-culturali mitteleuropei, e nel vasto e multietnico impero
austro-ungarico attraversato da indomati rigurgiti indipendentisti e
insurrezionali.
In tale contesto Carlo I° non ebbe timore ad assumere
comportamenti e scelte in coerenza rigorosa con la tradizione cattolica e con la fedeltà alla Sede Apostolica che sempre ispirarono il “Sacro Romano Impero” di
cui quello austro-ungarico ne era l’erede legittimo e riconosciuto. Lo speciale
legame generava uno spirito di tutela dei destini dei popoli sottomessi al
governo imperiale in funzione di alti ideali etici e religiosi, patrimonio
imprescindibile della cristianità di cui Carlo era storicamente fedelissimo rappresentante.
In questa prospettiva va sottolineato e tenuto in
considerazione, in uno sguardo di valutazione complessiva, il particolare
rapporto di Carlo I° con il pontefice romano Benedetto XV, del quale seguiva
integralmente e consapevolmente il magistero e l’indirizzo del giudizio politico sulle vicende europee.
La Parola di Dio è a
nostra istruzione
La Liturgia della Parola odierna (Lunedì della IV settimana
di Quaresima: Is 65,17-21; Sal 29; Gv 4,43-54) ci istruisce sui valori fondanti
il nostro cammino storico di testimoni di Dio e di discepoli del Signore.
Così, nella breve e succinta prospettiva descritta di
carattere introduttivo alla nostra celebrazione della memoria del Beato Carlo,
prende rilievo, per il nostro cammino di fede, il brano del profeta Isaia che proclama
un oracolo di speranza in un
contesto messianico e in una visione apocalittica, a cui si ispirò,
successivamente, l’evangelista Giovanni che ne trasse spunto per le sue
meditazioni sul compimento della storia.
Il profeta Isaia vede
e annuncia una metamorfosi della
storia, quasi una vera palingenesi,
che riguarda il popolo di Israele. Al popolo, che vive in condizioni disperate
e apparentemente senza via d’uscita, il profeta rivela con parole alate,
rassicuranti, il disegno di Dio in suo favore. L’intervento divino produrrà un
tempo di cambiamento radicale nel quale si rovescerà l’ attuale
situazione di tristezza e di smarrimento spirituale in vista di una nuova era
di benessere
“Nuovi cieli e nuova
terra”
In effetti Dio, come sempre accade nella sua fedeltà, non
abbandona il popolo dell’alleanza e, in una prospettiva misteriosa, fa
intravvedere un’epoca nuova, risolutiva, con un’immagine folgorante che cambia
la realtà di fatto: “Ecco, io creo nuovi
cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato” (Is 65,17).
In tale prospettiva, la visione di Isaia è ripresa da San
Paolo, come è noto, in riferimento all’azione redentrice di Cristo: “Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura;
le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (2 Cor 5,17).
Questo rappresenta la novità dell’evento di Cristo che sta al centro della
“nuova creazione” (cfr anche Gal 6,15) e interessa tutto l’universo (cfr Col
1,19; 2Pt 3,13; Ap 21,1) (cfr BdG, nota
a 2 Cor 5,17).
L’oracolo del profeta apre una situazione inedita a partire
da un possente atto creativo di Dio, del tutto gratuito e per sola iniziativa
di Dio. Dunque inizierà un’era dal volto nuovo, come un nuovo ordine di valori di carattere globale e imprevisto. E’
l’annuncio di una nuova creazione in cui l’umanità sperimenta relazioni nuove
fondate sulla giustizia e sulla pace, preludio alla scomparsa di ogni
tribolazioni, di pianti e di distruzioni.
In prospettiva la fede cristiana intravede il trionfo finale di
Cristo, mediante la Croce, sulle potenze del male, sul peccato dell’uomo, e
sulle sofferenze causate da eventi funesti. L’evento della redenzione sarà
capace di invertire il potere del disordine e costituire un tempo di
pacificazione e di cittadinanza felice, significativamente illustrate dal
profeta: “Fabbricheranno case e le
abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno
il frutto” (Is 65,21).
In tal modo il progetto originale di Dio trova compimento nel
sacrificio pasquale di Gesù che
riscatta l’umanità dalla sua condizione penosa, frutto di condotte peccaminose
e di infedeltà alla legge del Signore. Vi è dunque un tempo di catarsi – cioè di purificazione generale come si rivela
essere la guerra – dal quale si è redenti non da soli, ma per grazia mediante
una fede viva e penitente.
Qui la parola profetica illumina, con una luce rivelativa e
istruttiva, la celebrazione della
memoria del Beato Carlo. Lui ha
vissuto i “tempi dell’ira” con la
nitida coscienza di essere pienamente nella volontà di Dio, solidarizzando con
il suo popolo in guerra, attraverso scelte di governo coerenti e atti concreti
di bontà, attendendo anche lui “nuovi cieli e nuova terra”, e operando nella
convinzione che la guerra fosse “un’inutile
strage” (Benedetto XV).
“Quell’uomo credette
alla parola…e si mise in cammino”
La novità potente di Cristo che muta l’esistenza e ne crea
una nuova è visibile anche nel brano del Vangelo di Giovanni. Coerentemente al
cammino di Quaresima, che stiamo vivendo, la fede ci sollecita ad uscire da se
stessi, ci sospinge ad un incontro affidabile e trasformante con Gesù, perché “solo lui ha parole di vita eterna” (Gv
6,68).
In questo racconto di miracolo, Gesù ci invita a stare nella
sua scia, a progredire nella fede e
ci indica la strada mediante la figura esemplare di un uomo pagano che, angosciato nella stretta del bisogno, lo supplica
per la guarigione del figlio. C’è dunque una situazione di sofferenza che pare
insuperabile e che coinvolge un’intera famiglia.
Gesù chiede di fidarsi sulla sua parola: “Va, tuo figlio vive” (Gv 4, 50). In
effetti mette alla prova il suo interlocutore. Quell’uomo crede alla parola,
senza aver visto, e ritorna sui suoi passi, convinto anche se Gesù
apparentemente non ha fatto nulla. E’ la disposizione “beata” che Gesù
prefigura per i discepoli futuri (cfr Gv 20,19: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto”) e qui si
riscontra un anticipo da parte di un pagano!
In realtà, basta la presenza
di Gesù. Gesù è la rivelazione dell’amore del Padre e agisce su mandato del
Padre, in perfetta sintonia con lui: “Io
e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,22), per la sicura gioia dell’uomo,
perché la vita acquisti senso compiuto e sia ripristinato l’ordine originale
della creazione, e questo con un atto di guarigione.
Gesù sa ristabilire l’armonia perduta, sa donare ciò che
manca, sa soccorrere là dove l’uomo fallisce, sa di essere la via per ritrovare
la verità e la vita (Gv 14,6). E questo accade solo a patto della fede
confessata. Infatti del funzionario del re l’evangelista ricorda che “credette lui e tutta la sua famiglia” (Gv
4,53). Qui si fa evidente la potenza della fede che cambia la vita, trasforma
la visione del mondo, che apre il “cammino”
dietro a Gesù.
Come è accaduto al Beato
Carlo. Egli si è lasciato toccare e plasmare da Gesù, incontrato nella comunione eucaristica, e intenerire dalla
devozione alla Vergine Maria. Mai subordinò la sua fede cristallina alle esigenze
mondane o di puro potere. In tale unione intima con la Grazia santificante,
assunse fino in fondo ciò che costituisce l’essenza del vangelo della carità e lo tradusse nel compito di preservare la
pace e la giustizia, secondo i diritti dei popoli.
Una vita di santità
Di qui, il profilo di
santità del Beato Carlo viene a rivelarsi a tutto tondo. In realtà si
evidenzia tenendo in considerazione la tradizione della sua famiglia di origine, la solida formazione
ricevuta in casa, la sua sobria e consapevole entratura negli stili e negli
impegni propri dei vari livelli dell’amministrazione imperiale, la vita
coniugale e famigliare custodita con vigile premura anche nella breve
esperienza di imperatore, e infine la sconfitta e l’esilio accolti e vissuti
umilmente “perché Dio ha voluto così”,
secondo la testimonianza del Nunzio
apostolico Mons. Lorenzo Schioppa.
Certamente i caratteri della sua santità laicale sono comprensibili a partire dalla sintesi dinamica
operata dal Beato Carlo delle doti naturali e delle virtù soprannaturali che in
lui si saldarono in una spiritualità
solida e feconda di bene, tale da
costituire un armonico e robusto
organismo interiore in cui operava in modo eminente la grazia dello Spirito
Santo e la carità di Dio, la somma di tutte le virtù nelle quali si è conformato
in radice il pensare, il volere, l’agire.
Così l’ innata mitezza di carattere, coniugata con il
costante esercizio di solidarietà verso i poveri e i bisognosi, l’intensa
coltivazione della pietà e la ricercata prudenza politica, contribuirono a edificare il cammino di perfezione e a qualificare una speciale personalità carismatica inscritta in un’umanità appassionata e
ricca di valori della migliore tradizione asburgica (Cfr O. Sanguinetti-I.
Musajo Somma, Un cuore per la nuova
Europa. Appunti per una biografia del
beato Carlo D’Asburgo, Crotone, 2010, pp.192-200).
Carlo I° d’Asburgo, quale vero discepolo delle Beatitudini, ha seguito la strada del Signore in modo che la sua vita fosse trasparenza dell’ identità cristiana e segno di contraddizione in un tempo travagliato e in un ambiente culturale e politico ostile alla dottrina della Chiesa. Si è abbandonato alla volontà di Dio, raggiungendo il suo destino di gloria.
+ Carlo Mazza, vesc. em.